Wrecking ball.

27 Settembre 2013; sera.

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    "ovosodo"

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    Era stata una tipica giornata di un tipico esemplare di Zacarius Cavendishae: tre irritazioni cutanee da gorgosprizzi e un raffreddore che lo avevano fatto emozionare come poche volte in vita sua; sempre molto ironicamente, Zac aveva raccomandato ai suoi pazienti di farsi rivedere al più presto con nuovi ed esaltanti disagi. La sua ironia era stata colta solo dall'anziana raffreddata, così aveva passato mezz'ora a spiegare ai tre avventurosi (e sicuramente tanto intelligenti) che stava solo scherzando, evitando di precisare che era l'ultimo dei suoi desideri rivederli. Ad ogni modo, la chiacchierata a fine turno con l'anziana aveva risollevato il suo umore, regalandogli anche una splendida idea: era proprio il caso di "bersi una birretta fresca fresca per lo spirito"; sfoderato uno dei suoi sorrisi da deficente spastico che ha una paralisi facciale bravo ragazzone, aveva accettato col minimo sforzo un pizzicotto in faccia e aveva salutato la cara Rosemary.
    Così, la tipica giornata di Zachary stava concludendosi proprio ai Tre Manici di Scopa; perché quando si ha voglia e bisogno di una birra non si dovrebbe mai andare da nessun'altra parte. Zac ne era davvero convinto: le birre più buone le aveva sempre bevute lì, e poi, non era un tipo così nostalgico e sentimentale da farsi travolgere dall'onda dei ricordi. O meglio: sapeva benissimo ignorarli. Uno spera di diventare maturo a 33 anni, e invece sviluppa e raffina la cara arte del se ignoro il problema, il problema non esiste, che diventa utile in ogni situazione. Così è la vita.
    Ovviamente, era passato prima da casa non solo per recuperare il suo unico compagno di vita (il cane, ovviamente) ma anche per lasciare i panni del perfettino (la camicia e il maglioncino leggero) e indossare una comoda felpa. Sì, esatto: lui era un Cavendish con la felpa, e oh se ne andava fiero. Con aria tranquilla e l'amatissimo Felipe al guinzaglio, era entrato nel locale e si era posizionato al bancone e, dopo aver controllato che Felipe si fosse steso lì vicino con aria a dir poco rassegnata, aveva ordinato la birra tanto desiderata. Dopotutto, non andava così male.

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    Leander stava bevendo una birra seduto ad un tavolone nell'angolo. Liffey non era presente al locale, tuttavia fino a quel momento lui non aveva avuto difficoltà a trovare altre persone con cui intrattenersi.
    Aveva conosciuto due simpatici maghi scozzesi.
    Aveva chiacchierato di rugby con una ragazza irlandese.
    Una megera vestita di viola gli aveva raccontato una buffa leggenda riguardo 'il mostro del villaggio'.
    Due studenti del quarto anno gli avevano detto "Ops! Lei non ci ha visti" ed erano fuggiti via.
    Infine due ragazze gli si erano avvicinate attratte dal muso di carlino che gli usciva dalla felpa e avevano chiacchierato di cani per un'abbondante mezz'ora.
    Quando infine lo salutarono e si diressero all'uscita, Leander decise che era giunto il momento di un'ultima birra -e di un breve sgranchirsi di gambe.
    Si alzò dal tavolo e si diresse al bancone, al quale si appoggiò con gli avambracci. Liffey, ancora, non c'era, ma la barista lo vide subito, ricambiò il suo sorrisone aperto e si affrettò a mettergli davanti un nuovo boccale colmo di birra.
    Leander lo prese e si volse per tornare ad orbitare tra i tavoli e le persone ivi sedute; peccato che probabilmente calcolò male il movimento, e il suo gomito urtò la spalla dell'avventore sulla destra. Più di metà del contenuto del boccale di Leander si rovesciò addosso al povero sfigato innocente prima che Leander potesse raddrizzarlo nuovamente.
    «Oh santo Thorne» esclamò Leander «Chiedo profondamente scusa» esclamò.
    "[...] And then the question behind every question: what happens next?"

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    Il primo in grado di prevedere almeno in parte quello che stava per accadere era stato Felipe, il cane. Aveva drizzato le orecchie e sollevato il muso, fino ad allora appoggiato sulle zampe, puntando gli occhi sul boccale pieno di birra che percorreva un percorso segnato dal destino; ovviamente, il caro Felipe, non fece nulla. Neanche un mugolio d'avvertimento. L'espressione umana che meglio poteva rendere quella del cagnolone era quella di ironica rassegnazione, con tanto di sopracciglia inarcate. Ma Felipe era solo un cagnolone, e da bravo cagnolone fece lo sforzo di mettersi a sedere quando il suo padrone ebbe un sussulto.
    Zachary saltò letteralmente giù dallo sgabello alto quando il fiume di birra lo travolse in pieno. No, okay, non era un fiume di birra, diciamo che gran parte della sua felpa era bagnata, qualche schizzo aveva raggiunto la sua faccia, ma era stato più il fresco improvviso a destarlo dalla sua nobilissima attività di poco prima: fissare il suo boccale di birra con aria pacificamente stanca. Si può dire che Leander gli fece quasi del bene a togliergli quell'espressione beota dalla faccia.
    Ora Zachary era in piedi, con le mani alzate all'altezza delle spalle, la bocca spalancata e l'espressione di chi si è ritrovato nel bel mezzo di uno tsunami; si girò subito, ancora stravolto, con le braccia ancora quasi tese come a voler sgocciolare lì davanti al bancone, e si sforzò di dire: «No... Okay... Va tutto bene», riuscendo ad essere anche sincero. Non era al settimo cielo per il bagno di birra, ma non era neanche una tragedia, insomma: quel vichingo biondo non lo aveva mica fatto di proposito. E lui... Beh, lui era rassegnato da 33 anni alla sua sfiga allucinante.

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    Leander non era una persona particolarmente maldestra, tuttavia frequentava spesso locali gremiti di gente, e li frequentava in stato di non perfetta sobrietà: gli era quindi capitato altre volte di urtare inavvertitamente qualcuno, o di rovesciare un bicchiere, o di pestare un piede. Son cose che capitano.
    Di solito, poi, capitava anche che la gente ignorasse le sue sincere scuse e a desse per scontato che lui aveva volontariamente voluto incominciare una rissa. Una volta due robusti signori l'avevano trascinato via da una ragazza che gli aveva pestato il piede e alla quale Lea stava dicendo "Ma no, figurati, non scusarti".
    Il ragazzo a cui aveva appena fatto un bagno di birra aveva l'aria sconvolta, ma non sembrava sul punto di
    a) mettersi ad urlare per richiedere aiuto
    b) dirgli "vuoi rissa?!" e colpirlo con uno schiantesimo
    e questo era un notevole cambiamento rispetto al consueto.
    Un luminoso sorriso comparve sul viso di Leander.
    «Ehi, mi piace il tuo spirito di adattamento alla tragedie!» disse, dando una pacca amichevole sulla spalla del tizio «Ti offro una birra per scusarmi. Davvero, sono mortificato.» disse. Si volse per cercare di attirare l'attenzione della barista e ordinare la birra.
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    Quando Zachary si voltò a fissare le maniche della sua felpa e decise di abbassare finalmente le braccia e smetterla di fare il deficiente, si scambiò un intenso e significativo sguardo col suo cane. Lo fissò storto, sussurrò qualcosa di incapibile in spagnolo che avrebbe potuto anche essere un insulto, e sospirò. Come abbiamo già detto, Zac non era affatto arrabbiato, ma questo non faceva di lui una persona entusiasta di profumare di birra: con l'aria di un ragazzone imbronciato ma non troppo, alzò gli occhi in direzione di Vichingo Biondo che sembrava essere così contento.
    «Ti pregherei di non farti prendere dall'entusiasmo, verificare la cosa e spaccarmi il boccale in testa», pronunciò, col suo leggero accento spagnolo e il nasino leggermente all'insù. Sicché quel Vichingo aveva sorriso fin troppo, si sforzò di fissarlo male almeno per tre secondi, giusto il tempo per scoraggiarlo a provare davvero. Insomma, gli era già capitato di incontrare gente che aveva deciso di prenderlo alla lettera e non era stato piacevole. In più, la situazione stava già degenerando. Ora, Zac apprezzava molto le persone capaci di chiedere scusa e ammettere i propri errori, davvero: aveva sorriso interiormente quando aveva udito uno "scusami" e non un "cazzo ma potevi spostarti" (al quale avrebbe risposto molto male, probabilmente), solo... Non era davvero necessario offrirgli una birra che non avrebbe finito. Dopotutto, era un medimago salutista. Eh già: una vera palla.
    «No! No, davvero: no!», si affrettò a dire, con gli occhioni spalancati e l'aria di chi ormai era stato traumatizzato a vita dalla birra; in realtà, non gli sembrava molto logico che fosse Vichingo ad offrire la birra a lui. Era la birra del tizio ad aver fatto una brutta fine, mica la sua, no? Avendo agitato le mani istintivamente, ed avendo sgocciolato abbastanza, decise infine di rimboccarsele alla bell'e meglio, voltandosi in direzione della barista, pronto a mimarle un "no", non appena avesse sentito il suo vicino parlare. Non pago, aggiunse: «Davvero, non la bevo neanche, devo ancora finire quella che avevo ordinato», voltandosi con l'aria di un cucciolo innocente.

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    Leander non aveva difficoltà a capire l'inglese, visto e considerato che era una delle sue lingue madre, tuttavia chiunque avesse osservato quella scena avrebbe scommesso che non fosse così: del resto il tizio diceva una cosa, e Leander sembrava capirne un'altra. Questo avveniva soprattutto perché Leander stava prestando circa un decimo della sua attenzione alle parole del tizio, troppo occupato a sbracciarsi in direzione della cameriera.
    Aveva udito e apprezzato la battuta (cosa dimostrata dal fatto che aveva urlato «Ah!» e dato un'altra amichevole pacca al tipino dall'accento strano) ma poi aveva lasciato che le sue orecchie cogliessero solo una parola ogni tre e che il suo cervello le processasse nell'ordine che preferiva.
    La frase di Mr Sfiga, quindi, assunse per Leander tutto un altro significato.
    «Vabbeh, allora ordiniamo un cocktail.» disse, senza minimamente scomporsi «Ehi, scusa? Scusa, puoi portare un white russian al mio amico? Ehi?»
    Smise di sorridere alla cameriera che aveva appena annuito nella sua direzione solo per voltarsi verso l'amico in questione, mettergli un braccio intorno al collo e fissarlo ad un centimetro dalla sua faccia con un sorriso bonario.
    «Ti piace il white russian, no?»
    Fu allora che notò il cane.
    I suoi occhi azzurri si spalancarono di meraviglia, e Leander cadde in ginocchio con un unico, rapidissimo movimento.
    «Ciao, cucciolone!» esclamò, accarezzando il cane.
    Einstein, intanto, continuava a dormire nella felpa di Leander, incurante della vita intorno a lui.
    «Come si chiama, eh?»
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    Possiamo tranquillamente affermare che Zac, preda degli eventi, aveva ignorato la prima pacca ricevuta. Questo accadeva spesso quando aveva a che fare con persone particolarmente allegre ed estroverse, proprio come sembrava essere Leander; Zac non era solo sbadato, per certi versi, ma anche emotivamente e socialmente pigro: non prestando attenzione (o almeno, non volendo prestarla) a gesti e parole per altri significativi, tendeva ad ignorarli. Era capitato, soprattutto con quello che la gente definisce amici, o addirittura con gli amanti, che questo fosse motivo di discussioni o delusioni altrui, e allora si scusava. Insomma: Zac abbracciava molto poco perfino sua madre. E lui amava sua madre. Tutto questo per spiegare l'espressione stranita, sconvolta che spezzò la frase che con tanta buona volontà voleva pronunciare: «Ma non voglio neanche un cocktail!»
    Ecco, arrivò alla parola "neanche" e tutto accadde troppo in fretta. Okay, magari se fosse stato un amico di vecchia data non ci avrebbe nemmeno fatto caso, come abbiamo già detto, non sapendo ricambiare certi gesti di affetto, li accettava e basta, ma... Quello lì non era un amico di vecchia data. Non era neanche un amico, a dirla tutta. Ed era fin troppo vicino alla sua faccia. Si schiarì la voce e lo fissò come si fissano i pazzi, pensando che quel tipo aveva decisamente bisogno di un calmante.
    «Ehm», tentò di allontanare il viso, rigido come un cadavere, «Posso farmelo piacere se levi il tuo braccio dal mio collo», inarcò un sopracciglio, con l'aria comica di chi si sente a disagio e non vorrebbe sentirsi a disagio, «E comunque non lo voglio!»
    Troppo tardi. Il tipo si era già gettato sul pavimento, lasciando Zachary libero di sospirare di sollievo. Fortunatamente, Felipe era tutt'altro che emotivamente inetto: non tardò molto a scodinzolare e agitarsi, felice che qualcuno avesse iniziato a considerarlo, finalmente; non possiamo esserne certi, ma quel povero cane sembrava decisamente annoiarsi. Zac, con le labbra ancora schiuse, si voltò a fissare la scena, i muscoli ancora rigidi e uno stato confusionale non indifferente. Aveva accettato da tempo che esistessero persone come Leander, al mondo, e per certi versi le apprezzava anche tanto. Da lontano. Ma sempre per colpa della sua incapacità, eh.
    «... Felipe» mormorò, guardandosi poi intorno con l'aria di chi cominciava a sospettare che fosse tutta un'allucinazione.

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    Leander non diede peso a nessuno dei rifiuti del tizio: era evidente che lo faceva solo per modestia, quindi lui doveva sentirsi in dovere di insistere. E infatti ecco un white russian posarsi sul bancone.
    «Me ne fai anche un altro?» chiese Leander, dal pavimento, alla cameriera. Usò un tono gentile e disponibile, ma anche risoluto. Leander era il genere di persona che tutti erano portati ad ascoltare, quasi che la sua voce fosse sulla stessa frequenza dell'imperius.
    «Ha detto che gli piace.» spiegò il motivo della richiesta, sempre con aria molto dolce.
    Intanto il cane era diventato il suo migliore amico -gli capitava sempre, con gli animali- e si stava rotolando tra le carezze che Leander gli distribuiva sul muso e sul collo.
    Quando il tizio parlò, Leander alzò su di lui uno sguardo stupito.
    «Parlavo a lui.» disse come se fosse la cosa più normale del mondo, indicando il cane.
    «Come si chiama il tuo padrone-musone, eh? Gli piace il white russian? Cosa fate qui di bello? Guarda, ti presento Einstein.» riprese a rivolgersi al cane, la voce che pian piano divenne un mormorio indistinto di domande, vezzeggiativi ed esclamazioni di gioia.
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    Le persone che si erano godute tutta la scena prima (la birra, lo strisciare dei piedi dello sgabello sul legno, la faccia sconvolta di Zac e quella sinceramente dispiaciuta di Leander) si erano già disinteressate (insomma: dove non c'era rissa non c'era nulla di emozionante da guardare ancora), così Zac, nel guardarsi intrno, non potè farsi compatire da nessuno. Avrebbe potuto sospirare in direzione di un estraneo e scuotere la testa, facendo inconsciamente passare Leander per caro amico al quale si era rassegnato - beh, non sapeva ancora quanto sarebbe stato vero, ma questa è un'altra storia. Certo era che, in fondo, quel ragazzone gli ispirava simpatia, e sapete perché? Perché poche persone al mondo sarebbero capaci di buttarsi ai piedi di un pitbull, apprezzarlo e trattarlo come il grande cucciolone che è. Sempre per le dinamiche qui sopra accettate, sarebbe diventata una delle migliori descrizione di Leander, di quelle che meglio rendevano il suo carattere: coccolatore di pitbull.
    Zac, però, aveva dapprima cercato di far segno alla barista, volendo quasi supplicarla di non preparare un altro cocktail perché avrebbe ceduto volentieri il suo; ma a quanto pare a quella ragazza era piaciuta talmente tanto quella dinamica che aveva alzato le spalle, desolata, lasciando che Zachary si sentisse terribilmente tradito dal genere umano e dal mondo. Insomma, si era presto voltato in direzione Vichingo&FelipeNewBesties, prendendo un bel respiro, con la sua migliore espressione da e va bene vita, fai pure, che ecco che riuscì a stento a trattenere una risata. Si morse il labbro inferiore e si voltò dall'altro lato, scuotendo la testa e finendo col farsi una piccola risata. Quel tipo era stato simpatico, dopotutto, e Zac di certo non se la sarebbe mai presa. Come poteva infierire?
    Decise di portare avanti la parte del sano di mente, però, e non rispose solo per guardare in direzione barista e alzare le spalle, come a dire non è scemo, è che lo disegnano così, una volta finito di ridere.
    Peccato però non si fosse ancora accorto del carlino di Leander, era seriamente convinto che quel tipo stesse vaneggiando.
    «Sì, già che ci sei presentagli anche Bohr ed Heisenberg» disse solo, con un sorriso divertito.

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    Leander si accomodò più comodamente, ossia si sedette in terra. Ora, se avete mai provato a sedervi in terra in un pub pieno di gente potete avere un'idea di quanto difficile e poco pratico sia. Leander però sembrò riuscirci piuttosto facilmente. Ora che era all'altezza del suo nuovo amico Felipe, sembrò anche calmarsi un po'. Il sorriso gli rimase sul viso, ma almeno smise di parlare a raffica.
    Felipe si dimostrò incuriosito dal carlino (come è giusto che sia) e iniziò ad annusarlo. Einstein, dimostrando ancora una volta la sua ottusità, dapprima leccò il naso del pitbull, poi si girò e sprofondò il muso contro la maglia di Leander, tornado a dormire.
    Per Leander non era affatto strano portarsi il cane addosso: del resto non voleva lasciarlo ad Hogwarts solo soletto, e se lo avesse messo al guinzaglio come tutti i cristiani, probabilmente Einstein sarebbe finito calpestato entro due metri dalla porta dei Tre Manici. Aveva personalmente cucito delle comode tasche interne in tre delle sue felpe più larghe, ed aveva anche avuto una mezza idea di brevettare il progetto. Era sicuro che là fuori c'erano dei fieri possessori di chihuahua che lo avrebbero fatto diventare ricco.
    Si rialzò da terra solo quando Felipe si distrasse per leccare delle noccioline cadute al signore dietro di lui, ed eccolo di nuovo davanti al padrone del cane. Posò un gomito sul bancone e guardò dapprima i due white russian lì davanti, poi il ragazzo.
    «Il tuo cane è bellissimo.» gli disse, onesto «Ti presento Einstein» aggiunse, indicando il coso il cui culo sbucava dalla scollatura della sua felpa.
    «A proposito, mi devo ancora scusare con te» riprese, per poi voltarsi alla ricerca della cameriera «Scusa, porti un cheesburger veg a me e...tu cosa mangi?» domandò al tizio, sbattendogli la mano sul costato per attirare la sua attenzione -come se fosse stato possibile per lui rivolgerla altrove con Deleville che urlava a due centimetri da lui.
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    Edited by Glowen - 20/3/2016, 11:33
     
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    Quando Leander si sedette in terra, Zachary non potè trattenere un'espressione di disgusto - un disgusto comunque comico, s'intende; il solo pensiero di sedersi in terra, in quel pub, infrangeva minimo una decina di norme igieniche, se non di più. Solo che Leander sembrava tranquillo - probabilmente solo perché non aveva subito torture psicologiche a sentir parlare di microrganismi - e inoltre Felipe era felicissimo di avere un nuovo amico. Zac sorrise interiormente e si ripetè che era davvero il cane più buono del mondo. Sicché il suo sguardo si era posato poi sui due white russian sul bancone, si era ahinoi perso una scena bellissima: il vero (?) Einstein aveva leccato il naso di Felipe, scena che lo avrebbe fatto sicuramente ridere tantissimo. Purtroppo per noi (e per le ragazze che fissavano sia lui sia Leander) non accadde. Anzi, si può dire che Zac era ancora convinto che Lea stesse vaneggiando. Ovviamente, non notò nemmeno con quanta furbizia Felipe colse l'occasione di stare muso in terra a cercare ogni genere di briciola senza essere guardato molto male. Si può dire che si era perso in uno dei tipici momenti alla Zac Sta Elaborando La Realtà: il suo sguardo si spostava dalla birra che aveva ordinato al white russian e la sua mente rifletteva su quanto avrebbe retto; poi sul fatto che non era comunque giusto accettare quel cocktail. Prima ancora che potesse arrivare ad una conclusione, Leander aveva deciso di alzarsi da terra, per sua fortuna; Zac sembrò proprio sfoggiare inconsciamente un'espressione di vaga approvazione, quando tutto quel movimento al suo fianco lo destò dai suoi pensieri.
    Il tuo cane è bellissimo. Inutile dire che Zac sfoggiò il suo miglior sorriso soddisfatto, fiero e felice.
    «Grazie»
    Ti presento Einstein. Beh, di Bohr ed Heisenberg non c'era neanche l'ombra. Anzi Zac si ritrovò a guardare il culo peloso di un cagnolino spuntare dalla felpa del biondone. Il sorriso di poco prima non sparì, divenne solo più contenuto perché andiamo: Zac era emotivamente disturbato, quindi non poteva che apprezzare una tale tenerezza.
    «Mi sembra un po' occupato, al momento, magari me lo saluti dopo», disse, alzando una spalla.
    Insomma, se Felipe non fosse stato un cinghiale, probabilmente anche lui lo avrebbe portato a quel modo. Fissò quel culo peloso e fissò poi Il Biondo Vichingo dritto in faccia, avendo realizzato solo in quel momento che era assurdo anche per lui sapere il nome del suo cane e non il suo.
    «Comunque io sono Zachary», si presentò. Avrebbe anche teso una mano, davvero, con tanto di sorriso cordiale, se Leander non avesse ripreso la parte del Sommo Colpevole. Zachary stava giusto per argomentare che no, non era il caso, non c'era niente di cui scusarsi, che ancora era stato fin troppo gentile e che aveva apprezzato davvero tanto, ma basta per favore perché cominciava a sentirsi in imbarazzo che ecco una manata spezzargli la voce. Zac incassò il colpo e subito la sua aria dapprima pacifica e ironicamente (e fintamente) seccata scomparve per lasciar spazio a delle sopracciglie corrugate e le labbra schiuse. Non sapeva bene se essere confuso, sconvolto o addirittura oltraggiato dalla sua incapacità: possibile che non c'arrivasse proprio a capire perché la gente aveva bisogno di toccarsi tanto?!
    «Ehm», parve riprendersi dopo qualche secondo, e solo perché la cameriera, che aveva trattenuto una risata e lui l'aveva sentita eccome!, stava lì ad aspettare e fissarli e lui cominciava seriamente a sentirsi a disagio, «Ehm», ripetè, fissando poi insistentemente la mano di Leander. Non sapeva cosa dire, davvero, ma poi decise di adottare la sua amata tattica: se lo ignoro, non è accaduto.
    «Io sto apposto col white russian, giuro», proclamò, sforzandosi di essere convincente.

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    A Leander non sarebbe affatto venuto in mente di chiedere il nome a tizio, quindi fu positivo che tizio prese l'iniziativa da solo. Gli sorrise, e si prese qualche attimo per memorizzare il nome nel suo cervello. Leander era piuttosto bravo con i nomi e con i visi, difficilmente gli capitava di scordare l'uno o l'altro. Non voleva certo iniziare con tizio Zachary.
    «Io sono Leander, è un vero piacere.» rispose; sembrò sul punto di aggiungere altro alla presentazione, ma fu distratto da qualcosa di più urgente: Zachary aveva rifiutato il cibo. Che, era ancora arrabbiato con lui per via della birra?
    Leander pensò di prendere la bacchetta e fargli un rapido incantesimo per ripristinare la felpa alle condizioni di fabbrica, ma poi pensò che probabilmente Zachary avrebbe preferito farlo da solo piuttosto che avere uno sconosciuto che gli puntava addosso potenziali armi.
    «Lui prende un cheesburger normale» disse alla cameriera, che era ancora in attesa. Lei annuì e se ne andò. Leander si arrampicò sullo sgabello libero accanto a Zachary e si tirò vicino il suo boccale ormai mezzo vuoto di birra.
    «Perdona l'invadenza, ma non posso fare a meno di notare il tuo accento. Non sei di qua, vero?» chiese poi, in tono colloquiale e -sorprendentemente- abbastanza tranquillo. Leander era forse l'ultima persona che poteva criticare gli altrui accenti: fin da quando aveva messo piede in Inghilterra la gente non aveva fatto altro che appellarlo come ", Canadese" prima ancora che lui avesse l'opportunità di dire dove fosse nato. Gli scozzesi avevano un orecchio particolare per gli accenti. Leander non lo aveva affatto: aveva già offeso una decina di gallesi scambiandoli per irlandesi, e non avrebbe mai dimenticato quella gentile signora del Sussex che se l'era presa a morte quando lui aveva confuso il suo accento pulitissimo con la parlata scozzese. Dopo un anno in Inghilterra, Leander non aveva perso nemmeno un briciolo della sua surreale pronuncia d'oltreoceano.
    "[...] And then the question behind every question: what happens next?"

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    "ovosodo"

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    Spendiamo qualche parola per ribadire quanto Zachary fosse sbadato, senza dare la colpa al massacrante turno di lavoro: nonostante il profumo di birra e la sensazione di bagnato, secondo voi aveva anche solo vagamente pensato ad un incantesimo per far tornare la felpa in condizioni socialmente accettabili? Conoscete già la risposta. Probabilmente era la sua attitudine alla vita a renderlo così, o probabilmente era davvero solo e soltanto sbadataggine, fatto sta che Leander aveva tutta la sua attenzione. Anche solo per il fatto che era una persona assai socievole e Zac tendeva ad avere sempre un po' paura delle persone così espansive. Magari era una paura positiva, ma sempre di paura si trattava. Quando Leander ordinò un cheeseburger per lui, gli sembrò legittimo provarla.
    «Ma!» esclamò, alzando le mani verso la cameriera che cominciava a stargli davvero antipatica: non gli aveva dato neanche modo di dire di no che già era sparita, quindi a breve, oltre alla birra e al white russian, avrebbe avuto davanti anche un cheeseburger. Okay, quel tipo voleva scusarsi, era seriamente dispiaciuto, ma non poteva certo comprargli tutto il pub.
    «Leander», lo chiamò, deciso, voltandosi a fissarlo, e cercò di scandire bene le parole: «Accetto le scuse, stai tranquillo, va tutto bene». Arrivati a quel punto, gli era sembrata l'unica cosa sensata da fare. Ora sperava solo che Lea non lo abbracciasse. Davvero.
    Chiarita questa questione - perché era chiarita, vero?! Non avrebbe retto anche il dolce - Zachary decise di accomodarsi sullo sgabello che aveva occupato all'inizio di quella serata, cominciando già a dare una risposta semplicemente annuendo alla domanda del biondo; una volta sedutosi, si era voltato verso di lui e aveva accennato un sorriso.
    «Figurati, abbiamo sorpassato l'invadenza: mi hai appena ordinato un Happy Meal», scherzò, prima di alzare le spalle, quasi fosse scenicamente desolato.
    «Mmh non esattamente, vivo qui da quando ho undici anni, ma sono nato in Spagna» spiegò poi. Non fu certo un peso, anzi: anche se era strano e troppo fisico, Leander gli ispirava simpatia. E poi Zac non avrebbe mai fatto mistero di una notizia simile. Preferiva risparmiarsi ogni rogna possibile nel corso della sua vita, compresi i complessi da bello&dannato.
    «Io non noto molto gli accenti», esordì, furbetto, «Però non credo tu sia proprio ingleseinglese... », concluse, sfoggiando un sorriso che stava lì a dire non voglio offendermi se sei inglese non uccidermi.

    Dormiría poco, soñaría más.

    "Hipogrifo violento
    que corriste parejas con el viento,
    ¿dónde rayo sin llama,
    pájaro sin matiz,
    pez sin escamas,
    y bruto sin instinto
    natural, al confuso laberinto
    destas desnudas peñas
    te desbocas, te arrastras y despeñas?"
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    Zachary disse di averlo perdonato per l'incidente con la birra: Leander gli scoccò un sorriso di profonda gratitudine mista a colpevolezza, come se -comunque- non fosse del tutto convinto di meritare quel perdono magnanimo.
    Si sarebbe scusato ancora ordinandogli una bella torta: la mia per cuore di un uomo passa dallo stomaco, diceva sempre sua madre. Magari anche la via del perdono passava da lì, no?
    Leander bevve una buona sorsata di birra, lasciandone giusto un goccio nella caraffa.
    «Vengo da New Glasgow» rispose, dopo aver scosso la testa e accennato un sorriso «Nova Scozia, sai.» proseguì. Osservò un secondo Zachary e anche se lo valutò come parecchio sveglio decise di specificare ulteriormente: gli europei sembravano conoscere il Canada solo come "Canada", e Leander voleva risparmiare al suo nuovo amico l'eventuale imbarazzo di dover chiedere.
    «Canada.» aggiunse quindi, facendo un gesto piuttosto definitivo, ma sempre amichevole, con la mano.
    «Hai conservato parecchio l'accento per uno che vive qui da...» ...rapida occhiata valutativa in su e in giù a Zachary...«un po' di anni.»
    Non era un granchè a stabilire l'età, proprio no. E di certo non volwva offendere Cavendish, anche se uno capace di mettersi quella felpa di certo non era un tipo vanitoso -decise Leander.
    «Ehi, ma questo vuol dire che hai studiato ad Higwarts!» esclamò, entusiasmandosi così tanto da fare un piccolo saltello sulla sedia. Poi guardò Zachary con espressione da cagnolone entusiasta.
    "[...] And then the question behind every question: what happens next?"

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    Edited by Glowen - 22/3/2016, 17:01
     
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    "ovosodo"

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    Era sinceramente sollevato dal non avere un inglesotto spocchioso davanti pronto a dirgli quanto british fosse il suo accento; però doveva anche ammettere che Leander non sembrava affatto esserlo. Per non offenderlo, Zac decise di abbandonare la sua birra e saggiare il White russian che aveva davanti. Registrata la parola "Canada" nella sua mente, Zac osservò Leander e lasciò cadere un sorriso tranquillo. Poggiò i gomiti sul bancone e restò ad osservarlo. Avrebbe potuto offendersi, visti i suoi vani tentativi di mascherare il suo accento così tipicamente spagnolo, ma non lo fece. Sia perché non era in presenza dei suoi parenti, e quindi non aveva attuato nessun camuffamento, sia perché altrimenti non sarebbe stato Zachary Cavendish. Scrollò le spalle.
    «Eh lo so, non vuole proprio andare via» ammise, «Immagino che anche tu sia oggetto di persecuzioni per il tuo... ?»
    Quando Leander saltò sul posto, Zac non ne restò particolarmente sorpreso o turbato: gli era parso di capire che era vagamente fuori di testa, ma in senso buono (?), in più in quel gesto ci vedeva qualcosa che assomigliava più a un comportamento canino che umano, quindi per principio andava bene. Annuì, tranquillo, quasi stesse confermando una grande verità.
    «Claro que sì», un altro sorso al drink, «E tu dal Canada come ti trovi ora qua?», chiese poi, colpito all'improvviso da una genuina curiosità.

    Dormiría poco, soñaría más.

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